Cassazione e Tribunali confermano le caratteristiche del rapporto di lavoro dipendente in ambito giornalistico

Alcune recenti decisioni favorevoli all’Inpgi (due di legittimità e due di merito) hanno consentito di trarre ulteriori elementi di conferma circa la corretta applicazione, da parte dell’Istituto, dei criteri in base ai quali accertare la sussistenza di un rapporto di lavoro dipendente in ambito giornalistico.

Con la prima pronuncia, la Corte di Cassazione – Ordinanza 24610/2020 del 4 novembre u.s. – ha reso definitivi gli esiti, positivi per l’INPGI, di un giudizio instauratosi a seguito di un verbale ispettivo redatto nei confronti di una primaria azienda radiofonica operante su base nazionale.
Il provvedimento della Corte, in particolare, ha riguardato sedici giornalisti che, formalmente inquadrati come collaboratori coordinati e continuativi o liberi professionisti, secondo quanto rilevato dagli ispettori dell’Istituto svolgevano a tutti gli effetti attività giornalistica in regime di lavoro subordinato, con diritto al trattamento economico, a fini previdenziali, riferito all’inquadramento contrattuale previsto dal CCNL Aeranti Corallo.
La Cassazione, confermando le decisioni del Tribunale e della Corte d’Appello, ha sancito ancora una volta che elementi quali la sottoposizione a direttive datoriali da parte dei lavoratori, l’osservanza di turni di presenza in redazione, l’obbligo farsi autorizzare le ferie e in generale lo stabile inserimento nell’organizzazione aziendale, sono incompatibili con il lavoro autonomo e rappresentano evidenti indici di subordinazione.

Con la seconda pronuncia la Corte di Cassazione ha confermato la valutazione espressa dalla Corte d’Appello di Roma, in secondo grado, in relazione alla fondatezza degli esiti di un accertamento ispettivo svolto nei confronti di un’emittente radiofonica.

In particolare la Corte ha valorizzato, tra i fattori determinanti ai fini del riconoscimento della subordinazione giornalistica, l’inserimento in turni di lavoro e di ferie, l’obbligo di richiedere autorizzazione per le assenze, la continuità della collaborazione, la disponibilità alle richieste della redazione, l’utilizzazione degli strumenti aziendali con propria postazione fissa, la partecipazione alle riunioni della redazione, la comunicazione del godimento delle ferie.
Non è stata, di contro, considerata ostativa alla sussistenza del rapporto di lavoro dipendente l’eventuale titolarità, in capo al lavoratore, di un altro rapporto di lavoro poiché essa non implica di per sé un obbligo di esclusività.
La Corte ha dunque ritenuto ampiamente assolto, nell’ambito del giudizio di secondo grado, l’onere probatorio gravante sull’Ente previdenziale in relazione ai fatti fondanti la qualificazione del rapporto di lavoro sottesa alla pretesa contributiva.

La terza sentenza, resa dal Tribunale di Roma, ha riconosciuto la natura di lavoro subordinato relativamente all’attività giornalistica svolta da un giornalista che rivestiva anche la carica di di componente del Consiglio di Amministrazione della società editrice.
Nel caso in questione, l’azienda aveva omesso il pagamento della contribuzione dovuta per il rapporto di lavoro dipendente del giornalista, ritenendo che l’attribuzione della carica di amministratore escludesse in automatico tale obbligo.
Il Giudice di primo grado ha esaminato quindi la “vexata questio” circa la possibilità, per un lavoratore dipendente, di poter contemporaneamente svolgere mansioni di amministratore senza perdere lo status di lavoratore subordinato.
In merito alla delicata problematica si è espressa più volte la Corte di Cassazione, precisando che la carica di amministratore all’interno di un organo collegiale (quale è il Consiglio di amministrazione) senza assunzione, in via esclusiva, di specifiche deleghe o poteri di gestione del personale e dell’organizzazione aziendale, sono compatibili con il riconoscimento della qualifica di lavoratore subordinato.
Sono state quindi confermate le risultanze di una attività ispettiva effettuata dai funzionari dell’INPGI, a seguito della quale era stato accertato, in concreto, lo svolgimento – da parte del giornalista – di mansioni diverse da quelle proprie della carica di componente del CDA (nel caso di specie quelle di coordinamento redazionale) con l’assoggettamento dello stesso al potere direttivo, di controllo e disciplinare dello stesso CDA. Il Giudice adito ha dunque accolto la tesi sostenuta dai legali dell’INPGI, condannando l’azienda al pagamento della contribuzione richiesta nel verbale ispettivo.

Con la quarta pronuncia il Tribunale di Roma ha riconosciuto la validità delle risultanze istruttorie di un Verbale Ispettivo Inpgi, confermando la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato di otto giornalisti. In particolare, è stata – ancora una volta – ritenuta decisiva la circostanza che gli stessi fossero inseriti stabilmente nell’organizzazione aziendale tanto da mettere a disposizione le proprie energie lavorative anche negli intervalli di tempo tra le varie prestazioni.
Il criterio fondamentale su cui il giudice ha basato le proprie decisioni, accertando la natura subordinata dell’attività svolta dai giornalisti, è quello dell’etero-organizzazione, intesa – nello specifico ambito dell’attività intellettuale giornalistica – come l’inserimento organico nel contesto produttivo del datore di lavoro, che ha di fatto il potere di disporre del tempo di lavoro del dipendente.
Nella sentenza si ribadisce, inoltre, l’efficacia probatoria privilegiata del verbale di accertamento ispettivo redatto dai funzionari dell’Istituto, qualora non si dimostrino fatti e circostanze idonee a smentirne le risultanze. (da Inpgi notizie)